Il carnevale del senso

 


Il carnevale del senso

Piergiorgio Bianchi


Quando Carlo Goldoni partì per Parigi, quella sera di martedì grasso al Teatro San Luca di Venezia si recitava Una delle ultime sere di carnovale, la commedia scritta per il suo addio alla città. Goldoni stava nascosto in un palchetto ad osservare la rappresentazione. Ad un certo punto qualcuno in platea si accorse di lui, che si teneva nell’ombra, e lo indicò ai vicini. Ben presto il pubblico capì che l’autore era lì presente, ma celato allo sguardo. Allora si alzò in piedi e lo applaudì commosso, augurandogli buon viaggio. È superfluo dire che il pubblico si era fatto coro, che Venezia intera quella sera era la scena del teatro, e che lo scrittore aveva raggiunto l’opera nel momento stesso in cui l’aveva mancata, che entrava in scena nell’istante in cui vi si sottraeva. È tempo di dire addio al carnevale del senso, nutrendo la speranza che nell’addio si rinnovi l’augurio di buon viaggio.

Dichiaro l’amore per il teatro e parlo della scena del pensiero. Il teatro fa il suo ingresso nella filosofia con Cartesio: non c’è filosofia senza rappresentazione, non c’è cogito senza teatro. L’io sale mascherato sulla scena del mondo di cui prima era stato spettatore, e Cartesio gli crea il luogo da cui parlare, ma «Io penso, io sono» che pronuncia è vero soltanto finché è sulla scena, ossia nel momento in cui lo pensa e lo dice. L’altra scena di Freud nasce di lì, inseparabile da finzioni e camuffamenti. Questo spiega la dissimmetria della psicoanalisi rispetto al cogito. Lacan rovescia la questione: «Sono dove non penso, penso dove non sono». Si è dunque spettatori prima di salire sulla scena del mondo. Nel Cyrano di Edmond Rostand si vede bene questa duplice posizione. Cyrano è nascosto dietro una siepe. Suggerisce all’amico Cristiano, più bello di lui, le parole poetiche da pronunciare all’amata. Uno ci mette le parole, l’altro la presenza. È una divisione del lavoro oltre che del soggetto.

Le parole che mi interrogano non sono quelle che assumono forma sulla scena, ma che agiscono dietro di essa, capaci di porsi agli angoli degli occhi o delle labbra per disegnarne il tratto ironico. Anche se non ci sono garanzie, si può imparare a leggerle. Quali sono i momenti della mia lettura? Stranamente non ho sentito vicino l’autobiografia, ma la teoria, finché è stata in sintonia con la vita: le Considerazioni inattuali e la Genealogia della morale di Nietzsche, Le parole e le cose di Foucault, poi Blanchot, Barthes, Lacan e il retroterra strutturalista. Un autore come Bachtin. Sapere leggere è una priorità di come si vive. C’è un passo bellissimo di Leggere Il capitale di Althusser: «In certi momenti, in certi luoghi sintomatici, questo silenzio compare direttamente nel discorso e lo forza a produrre, suo malgrado, in alcuni brevi lampi bianchi, invisibili nella luce della dimostrazione, dei veri lapsus teorici». Oggi non penso più che ci sia uno sfondo di senso, un destino ermeneutico che attenda il lettore: un orizzonte preparato, predisposto dal tacere del senso. Il senso non è così diffuso, e cercarlo non è come raccogliere margherite in un prato. È necessario invece partire dall’evento, da un non-sapere. Cristo partecipa all’ultima cena, ma nessuno dei presenti sa in anticipo (ne da lui trapela) che sarebbe morto di lì a poco. Condividere il pane con chi morirà, senza saperlo prima, è un’esperienza che mi ha raccontato mio padre, ma incombeva sul paese la guerra.

Non c’è l’Altro ad incardinare le parole, ma è come tirare sassi nel buio. Si tratta di un’espressione a me cara che si trova in una lettera di Antonio Gramsci: «Come ti ho detto una volta, non mi piace tirar sassi nel buio; voglio sentire un interlocutore o un avversario in concreto; anche nei rapporti familiari voglio fare dei dialoghi». La scrittura ha degli effetti sulla vita degli altri. Come immaginare un lettore cambiato da ciò che abbiamo scritto? Il lettore assume un volto. Tuttavia non sono più di cinque o sei persone che immagino. Mi costruisco una scena. Dal mio palchetto l’osservo mentre legge. Sono riuscito a toccarlo, a suscitare in lui la voglia di leggere ancora? Lo sfioro appena prima che ritorni nell’ombra.

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