Le maschere dell'Altro. Lacan legge Hegel


Le maschere dell’Altro: Lacan con Hegel

Abstract: Fin dalla formulazione dello “stadio dello specchio” (1936), Jacques Lacan spiega il processo di costruzione dell’io attraverso la nozione di alienazione: legge Freud con Hegel. La cura analitica è una “esperienza dialettica” capace di produrre il vacillamento delle certezze dell’io e di svelare al soggetto la verità inconscia nascosta della sua storia. Lacan recupera il senso della Fenomenologia dello spirito di Hegel attraverso il commento di Alexandre Kojève. Le figure del sapere che il soggetto incontra e in cui si identifica sono le maschere dell’Altro, che per Lacan è il luogo dell’incontro intersoggettivo, ma anche quello della verità del soggetto dischiusa dalla dialettica edipica.

The masks of the Other: Lacan and Hegel

Abstract: Since the formulation of the “mirror stage” (1936), Jacques Lacan has exposed the process of ego construction by means of the notion of alienation: reading Freud through Hegel. Psychoanalytic care is a “dialectical experience” capable of producing the vacillation of the certainties of the ego and of unveiling to the subject the unconscious truth hidden in its history. Lacan finds the meaning Phenomenology of Spirit of Hegel in Alexandre Kojève’s commentary. The figures of knoledge that the subject meets and identifies with are the masks of the Other, which, according to Lacan, is the place of intersubjective encounter, but also that of the truth of the subject discosed by the oedipal dialectic.

Lo “stadio dello specchio”

In Lacan la prima formulazione della genesi dell’io come oggetto immagi- nario risale a uno scritto del 1949, Lo stadio dello specchio nella formazione dell’io. Il testo riprende la relazione tenuta al XIV Congresso dell’IPA a Ma- riembad nel 1936 (Roudinesco, 1993, p. 119). Per la prima volta il bambino dai sei ai diciotto mesi vede riflessa in uno specchio l’immagine completa del suo corpo, che gli si pone davanti come quella di un altro bambino. Egli ri- cerca nell’adulto la conferma che il piccolo altro nello specchio sia lui stesso: per identificarsi con la propria immagine chiede l’approvazione dell’Altro. L’identificazione giubilante con il simile non può avvenire senza tale media- zione, che fornisce senso a ciò che il bambino vede nello specchio. L’imma- gine per la prima volta completa e unificante come altro-da sé permette al bambino di ricomporre il proprio corpo, di cui ha avuto fino a quel momento solo una percezione frammentata.1 Il soggetto si proietta dunque in una este- riorità speculare: in un’alterità che prefigura il proprio io ideale. In questo modo l’essere umano coglie la sua forma realizzata, totale, fuori-di sé, nel miraggio di se stesso. Pertanto, lo stadio dello specchio assume il compito di costruzione dell’io in una forma anticipata.

Il fatto è che la forma totale del corpo grazie a cui il soggetto precorre in un miraggio la maturazione della propria potenza, gli è data soltan- to come Gestalt, cioè in un’esteriorità in cui questa forma è certamen- te più costituente che costituita, ma soprattutto in cui tale forma gli appare in un rilievo di statura che lo fissa e sotto una simmetria che la inverte, in opposizione alla turbolenza di movimenti con cui si sforza di animarla. (Lacan, 1966, p. 89)

Lacan non si limita a sottolineare qui il carattere derivato dell’io, ma attri- buisce all’immagine una precisa funzione morfogenetica: una forza di capta- zione che si impone al soggetto per il suo carattere esaustivo. L’immagine riflessa è in grado di suturare la lacerazione percettiva del corpo, introducen- do un più che compensa il meno del corpo in frammenti. Tuttavia il soggetto nega la divisione che lo attraversa, coprendo in maniera illusoria la differen- za tra la proiezione idealizzata dell’io e la debilità del proprio essere reale. Benché egli pretenda di mostrarsi indiviso, la rappresentazione riconosciuta dall’Altro non potrà mai essere quella che lo specchio gli restituisce.

La dialettica dello specchio è, inoltre, il paradigma delle relazioni alienate del soggetto sia con le proprie identità immaginarie sia con quelle degli altri.

Questo è il momento che in modo decisivo fa dipendere tutto il sa- pere umano dall’opera di mediazione del desiderio dell’altro, che ne costituisce gli oggetti in equivalenza astratta per via della concorrenza dell’altro (p. 92).

Se l’io è il punto di aggregazione delle identificazioni narcisistiche attra- verso cui l’individuo entra in contatto con gli altri, si mostra incapace, a cau- sa del suo carattere «infatuato», di comprendere la differenza che lo divide dal soggetto dell’inconscio. Lacan coglie così la specificità teorica e clinica della psicoanalisi nel decentramento della soggettività operato dalla psico- analisi (Freud 1922). A partire da tale lettura Lacan fa dell’io un oggetto del campo psichico. Il processo delle identificazioni soggettive è in linea con quanto Freud sostiene in Introduzione al narcisismo (1914) e Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921).

La dialettica dello specchio spiega i rapporti con l’altro. L’io si identifica ad una immagine per potere relazionarsi al simile. In ciò risiede la tensione dell’individuo per ottenere il prestigio sociale. Tuttavia l’identificazione nar- cisistica si arresta di fronte all’impossibilità di reperire una continuità tra il luogo dell’essere e quello dell’ideale. Fissandosi in una relazione speculare con l’altro individuo, l’esperienza dell’io mette in forma una situazione pa- ranoica.2 Lacan fa propria la lezione di Melanie Klein (1935), che individua il legame tra il narcisismo e l’aggressività nel delirio psicotico, spiegando il rapporto con il mondo esterno come la proiezione dei fantasmi distruttivi del soggetto. I fenomeni di identificazione sono sottoposti a una oscillazione permanente. Il soggetto combatte in modo incessante tra infatuazione amo- rosa e rivalità distruttiva. Tuttavia la dialettica speculare non si presenta solo come paradigma dei fenomeni di fascinazione narcisistica, ma fornisce anche una spiegazione degli effetti di appropriazione e di gelosia che riconducono il desiderio all’oggetto immaginario posseduto dell’altro e che, si presume, l’altro riesca a padroneggiare. Al suo centro si pone l’oggetto che l’altro de- sidera.

La tesi di Lacan secondo cui l’io è una costruzione immaginaria che passa per l’identificazione al simile ci riporta ai temi affrontati da Sartre ne La trascendenza dell’Ego, del 1936 Sartre coglie la divisione al cuore della sog- gettività umana. L’io si costruisce come un oggetto esterno che si presenta alla coscienza «con la sua opacità caratteristica, ma essa è semplicemente coscienza d’essere coscienza di questo oggetto» (Sartre, 1936, p. 34). L’io è dunque «ciò che trattiene la coscienza in se stessa» (Leguil, 2012, p. 112). Nel momento in cui coglie la divisione nella soggettività umana, Lacan si pone sulla linea di Sartre. Seguendo il filosofo, che considera l’io una formazione immaginaria, cristallizzata e alienata, condivide il movimento dell’intenzio- nalità della fenomenologia sartriana, vedendo nel desiderio la «mancanza a se stesso del soggetto» (Tarizzo, 1998, p. 23).


Il desiderio di riconoscimento

La renaissance hegeliana segna la filosofia francese degli anni 1930. Lacan frequenta Le lezioni che Alexandre Kojève tiene all’École Normale des Hau- tes Études ogni lunedì pomeriggio tra il 1933 e il 1939 e che presentano un commento alla Fenomenologia dello spirito.3 Lacan ha un preciso intento: leg- gere Hegel per sottrarsi all’aridità teorica in cui versa la psicoanalisi francese, chiusa in un determinismo evoluzionista che, secondo lui, ne depotenzia la teoria e ne inibisce la clinica. In questo senso, Kojève è l’antidoto sicuro: è un intellettuale brillante, fuori dagli schemi accademici. Capace di costruire una scena teatrale, «Kojève recitava le sue lezioni con uno stile di cui si sa- rebbe successivamente appropriato Lacan» (Vegetti, 1998, p. 18). Il fascino di quelle lezioni ha lasciato una traccia nell’insegnamento Lacan (Borch-Ja- kobsen, 1991b, p. XVI). Il filosofo mostra il lato tragico-dialettico di Hegel, valorizzandone la dimensione esistenziale rispetto a quella logico-sistema- tica (Borch –Jacobsen, 1991a; Macherey, 1991). Kojève lavora in particolare alla nozione di desiderio, evidenziando la differenza radicale tra il desiderio animale e quello umano. Il primo si risolve in modo unilaterale nel bisogno, obbligando l’animale a reclamare la soddisfazione attraverso la negazione dell’oggetto. La scena è destinata a ripetersi perché obbedisce all’istinto. Al contrario, l’esistenza umana partecipa di una condizione unica, del tutto dif- ferente da quella dell’animale. Scrive Kojève:

L’uomo «risulta» umano quando rischia la vita per soddisfare il suo Desiderio umano, cioè quel Desiderio che si dirige su un altro Deside- rio. Ora, desiderare un Desiderio è voler sostituire se stesso al valore desiderato da questo Desiderio. Infatti, senza questa sostituzione si desidererebbe il valore, l’oggetto desiderato, non il Desiderio stesso. Desiderare il Desiderio di un altro è dunque, in ultima analisi, deside- rare che il valore che io sono o che io «rappresento» sia il valore de- siderato da quest’altro: voglio che egli «riconosca» il mio valore come suo valore, voglio che egli mi «riconosca» come un valore autonomo. (Kojève, 1947, p. 21)

Il desiderio umano non si fonda sull’incontro con l’oggetto, ma richiede la mediazione dell’altro soggetto in forme complesse. La dialettica servo-padro- ne, esposta nella Seconda Sezione della Fenomenologia dello Spirito (Hegel, 1807, pp. 159-164), assume carattere paradigmatico, a conferma del quadro “antropogeno”, marcato dalla differenza tra natura (Natur) e storia (Welt), tra soddisfazione animale e soddisfazione simbolica (Recalcati, 2012, p. 72). Nel confronto tra servo e padrone Kojève legge la modalità intrinseca del deside- rio umano: una coscienza lotta a morte con un’altra coscienza affinché venga riconosciuto il proprio desiderio. Di tale tematica vi è traccia negli scritti di Lacan dell’immediato dopoguerra. In un passo del Discorso sulla causalità psichica del 1946, riprendendo la dialettica dello specchio, Lacan dichiara che i processi di identificazione si fondano sul riconoscimento.

Così, punto essenziale, il primo ad apparire degli effetti dell’imago nell’essere umano è un effetto di alienazione del soggetto. E’ anzitutto nell’altro che il soggetto si identifica e anche si mette alla prova. Feno- meno che apparirà meno sorprendente se si ricordano le fondamentali condizioni dell’Umwelt umano, e se si evoca l’intuizione che domina tutta la speculazione di Hegel. Lo stesso desiderio dell’uomo si costi- tuisce, egli dice, sotto il segno della mediazione, è il desiderio di far riconoscere il proprio desiderio. (Lacan, 1966, p. 175)

La dialettica servo-padrone è ripresa anche nello scritto del 1948, L’aggres- sività in psicoanalisi. Hegel ha avuto il merito di cogliere il senso e la funzio- ne dell’aggressività nell’ontologia umana.

È dal conflitto del Padrone e del Servo che egli deduce tutto il progres- so soggettivo e oggettivo della nostra storia, facendo sorgere da queste crisi le sintesi rappresentate dalle forme più elevate dello statuto della persona in Occidente, dallo stoico al cristiano e fino al futuro cittadino dello Stato universale. (p. 115)

La lotta servo-padrone mette in gioco il riconoscimento del proprio desi- derio da parte dell’altro. Tuttavia il conflitto non trova soluzione nella morte di entrambi i contendenti (o anche di uno solamente di essi). In nessun caso vi sarebbe infatti il riconoscimento. Occorre così che ci sia un altro esito. Colui che avrà avuto paura di morire, deponendo le armi avrà ceduto anche sul proprio desiderio e riconoscerà nell’altro il padrone, il vero uomo: vivrà come un servo solo per potere soddisfare i bisogni altrui. Colui che, invece, rischierà la vita, assumerà il proprio desiderio di fronte alla possibilità di morire, e disporrà del corpo dell’altro, che sarà costretto a lavorare per lui. La lotta a morte per il puro prestigio ha pertanto come finalità il riconoscimento di due posizioni sociali antagoniste. Essa presenta però un risultato asimme- trico. Se il padrone ottiene infatti di essere riconosciuto dal servo, non può davvero riconoscere quest’ultimo, perché non è una coscienza libera. Hegel sposta così la contraddizione sul piano di una nuova identificazione garantita dal passaggio a forme simboliche più alte in cui si manifesta la vita dello spirito: “stoicismo”, “scetticismo”, “coscienza infelice”.

Qui, l’individuo naturale è considerato come niente, perché il soggetto umano è effettivamente tale davanti al Padrone assoluto che gli è dato nella morte. La soddisfazione del desiderio umano non è possibile che mediata dal desiderio e dal lavoro dell’altro. Se è vero che nel conflitto del Padrone e del Servo ciò che è in gioco è il riconoscimento dell’uo- mo da parte dell’uomo, è anche vero che esso è promosso sulla base di una negazione radicale dei valori naturali, sia che si esprima nella tirannia sterile del padrone o in quella feconda del lavoro. (Ibid.)

La lettura è in linea con Kojève. Riprendendo il giovane Marx, il filosofo russo aveva indicato la motivazione del desiderio umano nell’interesse prati- co che volge l’uomo alla sua particolarità, più che in un atteggiamento con- templativo (Ferreri, 1994, p. 55). Se la coscienza di sé è sempre separazione dall’oggetto, il lavoro, come presupposto di trasformazione, introduce una mediazione tra il soggetto e la negatività.

Il Signore resta schiavo della natura a causa della sua Begierde. Il Ser- vo: il suo lavoro non è distruzione dell’oggetto (come la Begierde); essa lo forma, lo tras-forma. Egli trasforma la Natur in Welt (l’universo naturale in mondo storico). Con ciò si libera di fatto dalla Natura. Me- diante il lavoro egli diventa cosciente anche della sua libertà. (Kojève 1947, p. 71)

Il lavoro introduce l’uomo nella temporalità storica, separandolo dalla spazialità della natura. Così l’esistenza del padrone dipende in concreto da quella del servo, che potrà realizzare col lavoro la propria essenza di uomo, trasformando il dato naturale in fare e, dunque, in mondo storico.


La pratica di parola

Anche per Lacan Hegel e il giovane Marx si integrano. L’Altro è lo sfondo del percorso soggettivo: è il sistema delle relazioni sociali al di là delle identi- ficazioni immaginarie e alienate. Se la coscienza è immersa in una “sostanza etica” che ha i caratteri della comunità storica, si produce una differenza tra la lotta a morte per il puro prestigio e il momento simbolico scaturito dallo Spirito. L’Altro cui Lacan fa riferimento non è quello della relazione speculare, ma un campo regolato da leggi che sopravanzano il soggetto. Il linguaggio non indica, per lui, il verbale (o il pre-verbale), ma il complesso delle relazioni che incatenano il soggetto alla propria funzione e ne segnano il destino. Il senso dell’esistenza del soggetto è già nell’Altro. Prima ancora della nascita, il bambino ha un posto nei discorsi dei genitori: prima che dia corso alle identificazioni alienate, è già incluso nel simbolico, inscritto nell’ambiente familiare e sociale.

In Intervento sul tranfert (1951) Lacan definisce la psicoanalisi un’«e- sperienza dialettica» (Lacan, 1966, p. 209). Essa è una pratica che si fonda sugli effetti che la parola produce nel soggetto. Per questo non poggia sulla relazione speculare tra l’io dell’analizzante e quello dell’analista, ma sulla relazione con l’Altro, che è il destinatario del discorso: il luogo chiamato ad accogliere la verità del soggetto. La cura analitica non presuppone un analista dotato di un io forte a cui il paziente finirebbe per identificarsi. Non si tratta di correggere il rapporto del nevrotico con la realtà, ma di far sì che questi si apra ad una verità misconosciuta. In Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (1953), la cura si precisa come un percorso in cui il soggetto si separa dalle identificazioni che lo imprigionano: è il «di- scorso per disalienare il soggetto» (p. 297). La parola analitica fornisce senso all’oscurità dell’esistenza di cui questi si lamenta.

Per Hegel la storia del soggetto si dispiega in un percorso teleologico. Egli espone nella Fenomenologia dello spirito il cammino della coscienza alla ri- cerca di una identificazione. Riconoscendosi così, di volta in volta, nelle figu- re di questo percorso, il soggetto hegeliano si proietta sulla scena dell’Altro: si confronta con le maschere che reperisce nell’Altro, e che sono, per lui, le acquisizioni parziali di un sapere. Tuttavia la coscienza, che è la protagonista della Fenomenologia, non è mai identica a se stessa, ma si trova sempre in una condizione che la porta a dubitare delle certezze acquisite. La divisione è destinata a riaprirsi, finché Hegel non fa ricorso al sapere assoluto, con cui chiude il percorso dialettico. In Lacan il processo delle identificazioni sogget- tive si impronta ai principi esposti nella Fenomenologia dello spirito.

Questi principi altro non sono che la dialettica della coscienza di sé, quale si realizza da Socrate a Hegel, a partire dalla supposizione iro- nica che tutto ciò che è razionale è reale per precipitarsi nel giudi- zio scientifico che tutto ciò che è reale è razionale. Ma la scoperta freudiana è stata quella di dimostrare che questo processo verificante non raggiunge autenticamente il soggetto se non decentrandolo dalla coscienza di sé, nel cui asse lo manteneva la ricostruzione hegeliana della fenomenologia dello spirito. Queste osservazioni definiscono i limiti entro i quali alla nostra tecnica è impossibile misconoscere i momenti strutturanti della fenomenologia hegeliana: in primo luogo la dialettica del Servo e del Padrone, o quella dell’anima bella e della legge del cuore, e in genere tutto ciò che ci permette di comprende- re come la costituzione dell’oggetto si subordini alla realizzazione del soggetto. (p. 285)

Se nelle figure di “servo-padrone”, “anima bella”, “legge del cuore” è possi- bile riconoscere i momenti della divisione soggettiva, la scoperta freudiana segna però una distanza dagli esiti hegeliani. Il lavoro di un’analisi fa vacil- lare la padronanza dell’io, rigettando l’inganno dell’identità di razionale e reale. In altre parole: il soggetto dell’inconscio non possiede «quell’ironia che caratterizza il viaggiatore, eternamente miope, di Hegel» (Butler, 1999, p. 85). A cominciare da ora, al centro della lettura di Lacan si pone la nozione di esperienza, evidenziata da Heidegger nello scritto Il concetto hegeliano di esperienza (1950).

La psicoanalisi – dichiara in Varianti della cura tipo (1955) – è andata così lontano nella rivelazione dei desideri dell’uomo solo perché ha seguito, nelle vene della nevrosi e della soggettività marginale, dell’in- dividuo, la struttura propria a un desiderio che mostra così di model- larlo a una profondità inattesa, cioè il desiderio di far riconoscere il proprio desiderio. Questo desiderio, in cui si verifica letteralmente che il desiderio dell’uomo si aliena nel desiderio dell’altro, struttura infat- ti le pulsioni scoperte nell’analisi, secondo tutte le vicissitudini delle sostituzioni logiche, nella loro origine, nella loro direzione e nel loro oggetto. (Lacan, 1966, p. 337)

La mancanza e l’incertezza sono passaggi necessari alla coscienza per ritro- varsi nelle vicissitudini contingenti della propria storia. L’errore comporta il dubbio e la disperazione. Il percorso impone una sistematica dissoluzione delle certezze, per lasciare il posto all’emergere di una posizione superiore. La coscienza non deve però cercare fuori-di sé l’identità che si trova nella propria storia.

L’inquietudine e la lacerazione sono la struttura dell’esperienza soggettiva: motivo che avvicina l’autore della Fenomenologia dello Spirito a Kierkegaard. Jean Wahl si interroga sull’«infelicità» della coscienza, facendone «il segno di uno squilibrio profondo, ma nonostante tutto momentaneo, non solo del filosofo, non solo dell’umanità, ma anche dell’universo che nell’umanità, nel filosofo, prende coscienza di sé» (Wahl, 1929, p. 4). Jean Hyppolite sottoli- nea inoltre che «la vita è inquietudine, inquietudine del Sé che, perdutosi, si ritrova nella sua alterità; essa non è mai coincidenza con sé, poiché è sem- pre altro proprio per essere se se stessa» (Hyppolite, 1946, p. 183) Il tempo non è il semplice dispiegarsi dei progetti umani, bensì il carattere della loro permanente limitazione. Vivendo nel tempo, il soggetto è limitato, destinato alla morte. Il tempo rende il vivente altro-da sé, collocando la sua esperienza fuori da ogni padronanza. La temporalità struttura l’intera opera di Hegel: è una nozione più speculativa che antropologica. L’esistenza è sottoposta a una dialettica di costruzione e dissoluzione, in cui la conquista e la perdita sono le sue condizioni intrinseche. La soggettività umana è negatività, in un senso più forte che in Kojève. Se questi è legato a una concezione che eviden- zia la differenza tra il carattere ripetitivo del mondo naturale e la singolarità del télos umano, Hyppolite fa vacillare ogni ottimismo antropologico. Da lui Lacan ricava pertanto una lettura di Hegel che sottolinea l’inquietudine e lo sradicamento del soggetto. Vi è traccia di ciò nella Introduzione al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud (1954). Qui Lacan affronta la negazione del giudizio attraverso lo smascheramento della funzione dell’Io, che coglie «nel movimento di progressiva alienazione in cui si costituisce la coscienza di sé nella fenomenologia di Hegel» (Lacan, 1966, p. 366). Il sog- getto è spiazzato: sempre differente da sé, deve riconoscere la peripezia della propria storia, segnata da scansioni e riprese. Essa si mostra come una nuova possibilità la quale mette in dubbio la certezza di un io sempre identico a sé.


La dialettica del fallo: desiderio, bisogno, domanda

Nel corso del decennio 1950 i riferimenti alla dialettica di Hegel sono sempre presenti, ma Lacan li accosta alla linguistica. L’Altro cessa di essere pensato come il luogo dell’intersoggettività, in cui si incontra il simile, per divenire l’Altro del linguaggio: luogo di una trascendenza che fonda il soggetto. La nozione di desiderio subisce una svolta con La significazione del fallo (1958). Nella dialettica edipica delineata da Freud i genitori non rappresentano solo l’io ideale a cui il bambino si identifica, ma le figure che gli indicano il desi- derio. Il mondo simbolico sostiene un orizzonte di attese che preesistono al soggetto: prende in carico i bisogni per apportarvi una deviazione. La madre, trasformando il grido del bambino in richiesta, introduce un’intenzione di senso che sottomette il bisogno alla domanda. Il soggetto riceve il messaggio dell’Altro, ma in forma rovesciata. La domanda umanizza il bambino: non riguarda gli oggetti, ma si pone al di là di essi: implica la presenza o l’assenza della madre, a cui si rivolge. Si tratta di una domanda d’amore: la richiesta non di un oggetto concreto ma di una mancanza. Il desiderio si colloca nella dialettica tra bisogno e domanda d’amore.

In sé stessa la domanda verte su altro che non sulle soddisfazioni che chiede. Essa è domanda di una presenza o di un’assenza. Ciò è mani- festato dalla relazione primordiale con la madre, in quanto gravida di quell’altro che va situato aldiquà dei bisogni dei bisogni che può col- mare. Essa lo costituisce già come avente il “privilegio” di soddisfare i bisogni, cioè il potere di privarli della sola cosa da cui sono soddisfatti. Questo privilegio dell’Altro disegna così la forma radicale del dono di ciò che non ha, cioè quel che si chiama il suo amore. (Lacan, 1966, p. 688)

Per il bambino il desiderio della madre rappresenta tuttavia l’enigma dell’Altro: si rilancia al di là del registro immaginario dell’avere cui la do- manda è sottoposta. A tale desiderio, che il soggetto avverte come non padro- neggiabile, la metafora paterna offre la risposta fallica. Il fallo è il significante che occupa il luogo del desiderio materno. Esso assume una funzione duplice e paradossale: è il significante della mancanza, ma è anche il significante mancante nell’Altro. Nel significato immaginario, il fallo è l’oggetto che non esiste, in quello simbolico è il significante legato alla funzione paterna. La metafora paterna iscrive il bambino nella significazione del fallo, orientan- done il desiderio. Il padre incarna la Legge della castrazione: garantisce che il figlio rinunci al godimento materno per potere desiderare.


Bibliografia

Bianchi P. (2010). Lacan lit Hegel. A propos de l’identité subjective. L’art du comprendre, 19: 21-37.

Borch –Jacobsen M. (1991 a). Les alibis du sujet (Lacan, Kojève et alii). In:

Lacan avec les philosophes. Paris: Albin Michel, pp. 294-314.

Borch –Jacobsen M. (1991 b). Lacan. The Absolute Master. Stanford: Stanford University Press (trad. it.: Lacan. Il maestro assoluto. Torino: Einaudi, 1999).

Butler J. (1999). Subjects of Desire. Hegelian Reflections in Twentieth-Century France. New York: Columbia University Press (trad. it.: Soggetti del desiderio. Roma-Bari: Laterza, 2009).

Ferreri D. (1994). Sulla negazione. Un saggio di filosofia della psicoanalisi.

Roma: Astrolabio.

Freud S. (1914). Introduzione al narcisismo. Opere, 7: 439-472. Torino: Boringhieri, 1975.

Freud. S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Opere, 9: 257-330.

Torino: Boringhieri, 1977.

Freud. S. (1922). L’Io e l’Es. Opere, 9: 469-520. Torino: Boringhieri, 1977. Hegel G. W. F. (1807). Die Phänomenologie des Geistes. Bamberg und Würzburg:

Joseph Anton Goebardt (trad. it.: Fenomenologia dello spirito. Firenze: La Nuova Italia, 1970. I, pp. 143-190; II, pp. 6-36, 241-249).

Hegel G. W. F. (1835). Vorlesungen über die Ästhetik. Berlin: Heinrich Gustav Hotho (trad. it.: Estetica. Milano: Feltrinelli, 1963, pp. 612, 749, 1613).

Heidegger M. (1950). Hegels Begriff der Erfahrung. 1942-43. In: Holzwege. Frankfurt a.M.: Klostermann (trad. it.: Il concetto hegeliano di esperienza. In: Sentieri interrotti. Firenze: La Nuova Italia, 1968, pp. 103-190).

Hyppolite J. (1946). Genése et structure de la «Phénoménologie de l’Ésprit» de Hegel. Paris: Éditions Aubier Montagne (trad it.: Genesi e struttura della «Fenomenogia dello spirito» di Hegel. Firenze: La Nuova Italia, 1972).

 


Klein M. (1935). A Contribution to the Psychogenesis of Manic-depressive States. The International Journal of Psychoanalysis, 1935, 16: 145-174. In: Contributions to Psycho-Analysis 1921-1945. London: Hogarth Press, 1948 (trad. it.: Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi. In: Scritti 1921-1958. Torino: Boringhieri, 1978, pp. 297-325).

Kojève A. (1947). Introduction à la lecture de Hegel. Paris: Éditions Gallimard (trad. it.: Introduzione alla lettura di Hegel. Milano: Adelphi, 1996).

Lacan J. (1932). De la psychose paranoïaque dans ses rapports avec la personnalité. Paris: La François. Poi Paris: Éditions du Seuil, 1975 (trad. it.: Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità. Torino: Einaudi, 1980).

Lacan J. (1966). Écrits. Paris: Éditions du Seuil (trad. it.: Scritti. Torino: Einaudi, 1974):

- Propos sur la causalità psychique. 1946 (trad. it.: Discorso sulla causalità psichica), pp. 145-187;

- L’agressivité en psychanalyse. 1948 (trad. it.: L’aggressività in psicoanalisi), pp. 95-118;

- Le stade du miroir comme formateur de la fonction du Je. 1949 (trad. it.: Lo stadio dello specchio nella formazione dell’io), pp. 87-94;

- Intervention sur le transfert. 1951 (trad. it.: Intervento sul transfert), pp. 208-219;

- Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse. 1951 (trad. it.: Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi), pp. 230-316;

- Introduction au commentare de Jean Hyppolite sur la «Verneinung» de Freud. 1954 (trad. it.: Introduzione al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud), pp. 361-372.

- Réponse au commentare de Jean Hyppolite sur la «Verneinung» de Freud, 1954 (trad. it.: Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud), pp. 373-390;

- Variantes de la cure-type. 1955 (trad. it.: Varianti della cura-tipo), pp.

317-356;

- La psychanalyse et son enseignement. 1957 (trad. it.: La psicoanalisi e il suo insegnamento, pp. 429-452;

- La signification du phallus: Die Bedeutung des Phallus. 1958 (trad. it.:

La significazione del fallo: Die Bedeutung des Phallus), pp. 682-693;

Leguil C. (2012). Sartre avec Lacan: Corrélation antinomique, liaison dangereuse. Paris: Navarin (trad. it.: Sartre con Lacan. Correlazione antinomica, relazione pericolosa. Macerata: Quodlibet, 2017).

 


Macherey P. (1991). Lacan avec Kojève, philosophie et psychanalyse. In: Lacan avec les philosophes. Paris: Albin Michel, pp. 315-321.

Recalcati M. (2012). Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione.

Milano: Raffaello Cortina.

Roudinesco E. (1993). Jacques Lacan. Ésquisse d’une vie, histoire d’un système de pensée. Paris: Libraire Arthème Fayard (trad. it.: Jacques Lacan. Profilo di una vita, storia di un sistema di pensiero. Milano: Raffaello Cortina, 1995).

Sartre J.P. (1936). La transcendance de l’Ego. Ésquisse d’une description phénoménologique. Paris: Vrin (trad. it.: La trascendenza dell’Ego: idee per una descrizione fenomenologica. Milano: Marinotti, 2011).

Tarizzo D. (1998). Il desiderio e la sua interpretazione. Lacan e la questione dell’essere. Napoli: La Città del Sole.

Vegetti M. (1999). La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève.

Milano: Jaca Book.

Wahl J. (1929). La malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel. Paris: Rieder (trad. it.: La coscienza infelice nella filosofia di Hegel. Roma-Bari: Laterza, 1994).

Wallon H. (1931). Comment se développe chez l’énfant la notion de corps propre. Journal de psychologie. 1931 (n. v.): 705-748. In: Les origines du caractère chez l’énfant. Les préludes du séntiment de pérsonnalité. Paris: Boisvin, 1934 Presses Univèrsitaires de France, 1949 (trad. it.: Come si sviluppa la nozione del proprio corpo nel bambino. In: Sviluppo della coscienza e formazione del carattere. Firenze: La Nuova Italia, 1967, pp. 35-78).


Commenti

Post più popolari